Erwinia amylovora

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IL COLPO DI FUOCO BATTERICO IN PIEMONTE: la situazione e le misure di profilassi

La situazione in campo (Piemonte – Cuneo)

Fino al 2012 in Piemonte i casi accertati in base al protocollo diagnostico erano limitati a piante ornamentali e un solo caso su un giovane pereto in Provincia di Cuneo ed un altro sempre su pero in provincia di Alessandria.

Nel 2014, furono accertati 15 casi di colpo di fuoco in impianti di melo al primo anno, per i quali risultava evidente, anche se non dimostrabile, il collegamento con il materiale di moltiplicazione. Negli anni successivi la situazione si è normalizzata grazie anche ad un’azione di sensibilizzazione che ha convinto i produttori ad adottare le misure di contenimento, in particolare l’esecuzione di un’attenta rimondatura attraverso l’asportazione delle parti colpite. Solo nei comuni dove si sta estendendo la coltivazione del pero e che sono situati a corona attorno alla zona melicola saluzzese, la patologia fa la sua ricomparsa, nelle annate contrassegnate da piogge frequenti durante le seconde fioriture intervallate da temperature e umidità elevate.

Biologia e riconoscimento della malattia

Questo batterio, infatti, a differenza di Pseudomonas syringae pv. actinidiae (PSA), si sviluppa in un intervallo di temperature più ampio, ben oltre i 30° C, purché in presenza di elevata umidità.

Il batterio penetra nella pianta principalmente attraverso i fiori delle fioriture secondarie. Altre vie di penetrazione sono rappresentate dagli stomi delle foglie apicali (molto frequente nei casi piemontesi), da ferite causate sia da potature in verde sia da grandine. Il batterio presenta una velocità di penetrazione elevata e il contagio fra pianta infetta e sana risulta altresì assai rapido (da qui la definizione di “colpo di fuoco“). Dopo qualche giorno dall’avvenuta infezione le foglie interessate acquisiscono una colorazione brunastra e si osserva il tipico ripiegamento ad uncino degli apici. In condizioni di umidità e caldo si forma un essudato che favorisce ulteriormente la diffusione del batterio che in seguito andrà a svernare nei cancri presenti sul tronco e sui rami. E. amylovora provoca genericamente seccumi di fiori, foglie e germogli ma ciò che la differenzia da altri parassiti e che la rende più temibile è il fatto che agisce molto rapidamente.

Per quanto riguarda la sintomatologia, uno stadio avanzato della malattia comporta il disseccamento di rami, branche o dell’intera pianta, nonché imbrunimenti sui frutti in maturazione.

Elementi caratteristici della malattia sono:

  1. Colature di linfa dai cancri che all’aria scuriscono e macchiano di color ruggine rami e tronchi;

  2. Colorazione rosso-mattone dei tessuti infatti, a confine sfumato, che si osserva attraverso l’asportazione di un sottile strato di corteccia;

  1. Anomala permanenza in autunno delle foglie secche sui germogli colpiti ripiegati ad uncino;

  1. Gocce lattiginose emesse dalle parti infette (solo in condizioni di elevata e persistente umidità);

Si ribadisce la necessità, in caso di sintomi sospetti, di segnalarne tempestivamente la presenza al tecnico della propria struttura di appartenenza.

In caso di sospetti o comunque in vicinanza ad impianti infetti, si raccomanda di:

  1. Asportare le fioriture secondarie in quanto siti privilegiati per l’infezione se le temperature massime sono in innalzamento attorno ai 30°C;

  2. Evitare potature o altre operazioni di tagli su piante sospette sino a che non vi sia una diagnosi certa che escluda l’infezione;

  3. Se possibile, attivare già al primo anno dell’impianto la protezione anti-grandine in quanto si è accertata la correlazione fra l’evento grandinigeno e l’insediamento del batterio

In caso invece di malattia accertata a seguito di diagnosi confermata dal tecnico e dal Settore Fitosanitario Regionale si dovranno immediatamente seguire le seguenti procedure:

  1. Asportare le parti colpite eliminandole con almeno 50 cm di tessuto sano e procedere all’estirpo della pianta nel caso vi sia presenza di cancri sul tronco. Tutte le parti colpite e le piante dovranno essere successivamente distrutte e mai lasciate nell’appezzamento. Questa è sicuramente la pratica agronomica più importante, certamente più efficace di qualunque intervento;

  2. Effettuare interventi rameici a partire dalla ripresa vegetativa e proseguendo, dopo la fioritura riducendo i quantitativi a non oltre 50 g di rame metallo ad ettolitro (Es Poltiglia bordolese 20 % a 250 g/hl) nei periodi a maggior rischio e, in particolare subito dopo grandinate. Possono essere utilizzati, ad integrazione del rame e in certi periodi altri prodotti quali i batteri antagonisti (B. subtilis – B. amyloliquefaciens), acibenzolar-s-metile e Fosetyl – Al a partire da prima della seconda fioritura con intervalli regolari;

  1. Negli appezzamenti in cui si è osservata la patologia risultano essenziali oltre ad un’accuratissima potatura invernale, la disinfezione degli strumenti di potatura e la completa eliminazione, con bruciatura, delle parti colpite;

  2. Rispettare tutte quelle norme igieniche che tendono a risanare quanto può essere venuto a contatto con il batterio, in particolare:

    • Macchine e attrezzi = pulizia con getto a vapore a 70 °C;

    • Indumenti = disinfezione di tute, stivali, guanti ecc con prodotti battericidi (Lysoform ecc…).

Estratto dal Decreto 356/1999 di lotta obbligatoria che prevede:

  1. Indagini sistematiche mirate (vivai, rete di monitoraggio, parchi pubblici e privati, flora spontanea);

  2. Eradicazione del focolaio mediante asportazione dell’intera pianta o parziale (50 cm sotto il confine della lesione) e distruzione per incenerimento;

  3. Istituzione di zona di sicurezza (1 Km di raggio), solo nelle zone protette in cui per 12 mesi sono vietati i trasporti di piante sensibili senza autorizzazione del SFR;

  4. Divieto di spostamento degli alveari per periodi ed aree definiti dal SFR (15 marzo – 30 giugno);

Sanzioni amministrative sono previste per tutti i decreti di lotta, con somme che variano dai 1000 ai 6000 euro.

LE AZIONI MESSE IN CAMPO DA AGRION

Da anni sono in sperimentazione cultivar caratterizzate da elevata tolleranza a questa grave fitopatia che potrebbero rappresentare un valido strumento di contenimento. Occorre una loro mirata valutazione agro-pomologica in pieno campo per verificare l’effettiva sostenibilità nei confronti dei testimoni, diffusi da oltre un secolo grazie alle elevate caratteristiche qualitative e alla buona attitudine al post-raccolta.

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